Immigrazione in Germania: l'integrazione si fonda sulla reciprocità

Pubblicato il da Alessandro Bortolazzo

[caption id="attachment_4955" align="alignright" width="400" caption="Thilo Sarrazin, autore di "La Germania si distrugge da sé". Foto: Richard Hebstreit (con licenza CC)"][/caption]

Il "caso Sarrazin" ci dice molto su come funziona la nostra società. Rivela con quanta facilità delle dichiarazioni prive di contenuto possano stimolare l'attenzione pubblica e creare consenso. Quanto la Germania sia povera di intellettuali degni di tale qualifica. Fino a che punto sia lecito montare una campagna denigratoria contro il ceto inferiore. Ma soprattutto ci mostra in modo magistrale come funziona un'onda mediatica: provocazione / indignazione / di nuovo provocazione e indignazione (a questo punto il mondo politico si sveglia) / backlash (il povero Thilo si limita a dire ciò che tutti pensano). Una cosa questa intera faccenda di certo non è: la corretta apertura di un dibattito sensato sull'immigrazione in Germania. [...]

Paura del declino, paura di perdere l'identità

[Due aspetti spiegano] il successo di Sarrazin e soci. Da un lato il timore di perdere la propria identità, derivante da un paventato declino economico e molto diffuso tra la classe media. Dall'altro l'accusa rivolta ai migranti di non volersi integrare.

Alla base di tutto c'è la paura dello straniero, dell'altro da sé, ma anche di perdere o vedere intaccate le cose a cui siamo affezionati e a cui teniamo. Di fronte a questo genere di paure non c'è argomentazione che tenga. L'unico modo per superarle è indicare a chi ne è vittima un traguardo positivo. E in questo il mondo politico tedesco (come di altri paesi) per ora ha fallito. Anche in occasione del dibattito scatenato da Sarrazin, non ha saputo mettere in evidenza i successi ottenuti finora dalle politiche per l'integrazione, né mettere in chiaro che siamo solo agli inizi e perché.

Forse una tale presa di posizione non c'è stata perché avrebbe comportato l'ammissione dei numerosi errori commessi. Primo fra tutti il mancato riconoscimento del fatto che l'integrazione funziona solo se fondata sulla reciprocità: non basta che A desideri integrarsi, serve anche che B sia disposto ad accogliere. Fino alla fine degli anni '90 nella politica tedesca questa disponibilità era quasi del tutto assente.

In un lungimirante memorandum del 1979 Heinz Kühn, il primo "commissario federale per gli stranieri", chiedeva che l'integrazione fosse inserita tra le priorità dell'agenda politica. La sua richiesta cadde nel vuoto. Il governo federale continuò anzi a supporre che i nostri gastarbeiter prima o poi sarebbero tornati nel "loro paese", portandosi dietro figli e nipoti. In fatto di inserimento sociale, la parola d'ordine era "integrazione temporanea". Era questo l'obiettivo che i ministri della Pubblica Istruzione si erano posti in relazione ai figli dei migranti, puntando allo stesso tempo a stimolare la "facoltà di rientro in patria".
Nel memorandum di Kühn si sollecitava invece la creazione di pacchetti di interventi che assicurassero una parificazione reale e non solo formale di immigrati di seconda generazione e cittadini federali in materia di formazione scolastica e professionale, nonché di diritto al lavoro e alla casa.

La Germania non è un paese d'immigrazione, i gastarbeiter se ne torneranno a casa!

Questa menzogna vitale della politica tedesca ha impedito per decenni che venissero implementate delle politiche di integrazione sensate, con corsi di tedesco per stranieri e provvedimenti atti a favorire la partecipazione politica. È a causa di questa menzogna che si è venuta a creare quella società parallela di cui oggi tanto ci lamentiamo. La stessa menzogna che ha partorito una generazion di "figli di gastarbeiter" trattati come stranieri sia nel paese dove sono nati che in quello dei loro genitori. Solo a partire dal 1998, con la coalizione rosso-verde, il governo ha iniziato a rompere questo schema.

Piuttosto che il libro di Sarrazin i giornalisti e i politici tedeschi farebbero meglio a leggere il rapporto annuale 2010 del Sachverständigenrat deutscher Stiftungen für Integration und Migration (Consiglio delle fondazioni tedesche per l'integrazione e i migranti), dove si dice: "Confrontando la situazione tedesca con quella di altri paesi, in Germania l''integrazione' è tutt'altro che 'fallita'. Alla luce dei successi ottenuti in diversi ambiti concreti, si può anzi sostenere che sia in gran parte riuscita".

Non c'è da stupirsi se la Repubblica federale non è del tutto riuscita in dodici anni a porre rimedio alle omissioni di decenni. I vari Sarrazin, Broder e Matussek [1] preferiscono comunque ignorare il fatto che le politiche di integrazione portate avanti negli ultimi anni si siano rivelate efficaci, come sembrano non temere le accuse di sfacciataggine che è lecito rivolgere a chi rimprovera di non essere in grado di integrarsi le stesse persone alle quali per decenni è stato sistematicamente impedito di farlo per non compromettere la loro facoltà di tornare un giorno nel paese d'origine.

Se oggi esistono famiglie di origine turca, per citarne una, dove i genitori parlano a stento il tedesco è perchè per decenni politica e società si sono rifiutate di guardare in faccia la realtà. Trasformare in colpevoli le vittime di questo rifiuto è semplicemente scandaloso.

[1] Matthias Matussek e Henryk M. Broder sono giornalisti dello Spiegel che in seguito agli attacchi portati avanti da parte dell'opinione pubblica tedesca nei confronti di Thilo Sarrazin, hanno deciso di prenderne le difese.

Questa di E-Blogs è una traduzione abbreviata. L'articolo integrale in tedesco si può leggere qui. Di Thilo Sarrazin si parla anche qui.

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