Quando un ladro di sei anni svaligia un supermercato

Pubblicato il da Sara Gianfelici


Foto: Philippe Pujol, Flickr, licenza CC
Era una piccola galleria di negozi come ce ne sono a volte alle porte delle città. La metà dei negozi era chiusa, le saracinesche di ferro, ormai ricoperte di graffiti, erano abbassate da molto su degli esercizi che non resistevano più di tanto di fronte alla precarietà e alla delinquenza.

Rimaneva un bazar tenuto da un Pakistano, qualche insegna sconosciuta che vendeva vestiti a basso prezzo, un calzolaio e un bar aperto su strada, coi suoi pochi tavoli in plastica slavata e degli ombrelloni aperti in tutte le stagioni per dare un aspetto più gradevole.

Proprio in fondo alla galleria c’era un piccolo supermercato dove quel giorno andavamo a cercare un ladro che era stato colto in flagrante delitto da dei vigilanti. I pochi adolescenti che giravano da quelle parti, appoggiati ai muri dei negozi morti, ci guardavano passare, lo sguardo cattivo, biascicando parole a cui preferivamo non dare ascolto. Dovevano avere una certa idea del motivo del nostro arrivo e dei nostri passi veloci nel viale bisunto del loro rifugio di fortuna.

Siamo passati oltre le casse del supermercato e un omone che portava il badge di una società di sicurezza ci ha invitato a seguirlo fino all’ufficio del direttore del negozio, dove era stato portato il ladro. Siamo saliti su per una scala e siamo entrati in una stanza in cui l’unica finestra che dava sui reparti e le casse era mascherata da una tapparella a listelli.

Seduto su una sedia, davanti alla scrivania e allo schermo di una telecamera di sorveglianza, singhiozzava un bambino piccolo. Aveva sei anni.
"Dov’è il ladro? abbiamo chiesto.
— E’ lui, hanno risposto all’unisono il direttore del negozio e il vigilante, indicando il piccolo.
— Cos’ha rubato?
— Una scatola di tonno.
— Una scatola di tonno?
— Sì, una scatola di tonno che si è messo nella manica. Abbiamo visto tutto. L’abbiamo pizzicato all’uscita.
— Era da solo?
— Solo. Nessun complice. Piccolo sporco bastardo."

Guardavamo tutti la scatola di tonno sulla scrivania. Una scatola di tonno senza marca, venduta come singola confezione, di quei prodotti che si mettono proprio in basso nei reparti perché sono i meno cari, con la confezione brutta e poco accattivante.

Il bambino continuava a piangere e a singhiozzare, il viso tutto bagnato di lacrime e di moccaro.
"Direttore, ci porteremo via il ragazzo. Capitolo chiuso, siamo tutti d’accordo?
— Ah ma no, certo che no! Ne ho le scatole piene di tutti questi merdosi, questi negri e questi maghrebbini che vengono per mandarmi a cagare e per saccheggiarmi tutti i giorni! Farò denuncia.
— E’ solo una scatola di tonno, non ha proprio niente di meglio da mettersi sotto i denti, in fatto di ladri? Ci mettiamo nella merda per fare un procedimento per una scatola di tonno pizzicata da un moccioso che fa ancora pipì a letto?
— Ma ma io non c’entro un cazzo! E’ il vostro lavoro!"

Siamo ripartiti col bambino. Ho preso la sua mano, ma si è sentito prigioniero. Abbiamo attraversato così tutta la galleria dei negozi nel senso opposto, verso l’uscita. Il piccolo piangeva, provava a scapparmi. Ma bisognava pur portarlo via per restituirlo ai genitori.

I ragazzi ci hanno guardato di nuovo, ma non dicevano più niente. Solo, i loro occhi, ce li sentivamo nella schiena. Io non guardavo da nessuna parte, avevo solo un ladro di sei anni a fianco a me, ladro di una scatola di tonno, che nessuna parola riusciva a calmare e che, con la bocca spalancata su un dente da latte che mancava, urlava “mamma”!

In macchina andando verso il commissariato si è un po’ calmato, lo abbiamo rassicurato come abbiamo potuto, abbiamo provato a farlo ridere. Ed è stato allora che ci ha detto che aveva fame.

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